Maniera Nera cs543

 

 

 

 

 

 

 

 

La «maniera nera» è un metodo d’incisione (detto anche «nerofumo») che risale al Seicento, reso famoso da Goya: sostanzialmente, il disegno viene inciso su una lastra annerita, creando dei vuoti che risulteranno visibili come segni chiari. E’ un po’ quello che fa il tarantino Francesco Massaro, ospite abituale con i suoi «Bestiari» di questa rubrica: in Maniera nera (un cd appena pubblicato dall’etichetta portoghese Creative Sources) i «segni» emergono da un fondo oscuro, un silenzio cupo su cui si stagliano piccoli glitch, rumori, incidenti sonori di vario genere. Siamo sul confine tra musica «scritta» (anche se magari su nastro magnetico e non su carta) e improvvisazione più o meno radicale, un territorio battuto solo dagli estremisti del jazz e dai sacerdoti della ricerca contemporanea. Tanto per rendere chiara la natura sperimentale e di frontiera di questo progetto (presentato in concerto nell’ultima edizione del festival «Urticanti»), Massaro ha lavorato sull’incrocio tra le due pratiche, commissionando a una serie di musicisti un pezzo per computer o per nastro magnetico sul quale lui stesso ha poi improvvisato con il sax baritono.

Un catalogo di gesti sonori
Il risultato è affascinante e insieme inquietante, un catalogo di gesti sonori al limite, a volte, anche dell’udibile. Il cd raccoglie otto brani: il primo, introduttivo e molto breve, è composto dallo stesso Massaro, che ci suona sopra «in punta di piedi». Gli altri, di lunghezza molto variabile, sono costruiti per Massaro da amici e complici, in gran parte pugliesi: specialisti di elettronica come Francesco Scagliola, Giuseppe Pisano o Maurilio Cacciatore, oppure musicisti più vicini al jazz ma di indole spericolata come Adolfo La Volpe e Giorgio Distante, creature «anfibie» come Gianni Lenoci e imprevedibili poeti del suono come Valerio Daniele (tra parentesi, il lavoro è registrato nel suo studio, a Monteroni). Proprio quest’ultimo, con La strana casa dei giardiniere, chiude il percorso d’ascolto, e il suo è forse il brano più denso del lotto. Al contrario, Come canna al vento di Scagliola è fatto di piccoli fremiti sparsi e lontani. In ogni caso, qui come altrove, Massaro «abita» con intelligenza i diversi paesaggi sonori. Fabrizio Versienti (Corriere del Mezzogiorno)

 

Ritorno con il baritono. Stavolta è quello di Francesco Massaro e del suo Maniera Nera. Completamente diverso dallo standard del Bestiario. Niente patafisica in superficie, ma una ricerca profonda di relazioni tra la composizione tecnologica e l'improvvisazione. 7 composizioni sintetiche (Maurilio Cacciatore, Adolfo La Volpe, Giorgio Distante, Francesco Scagliola, Giuseppe Pisano, Gianni Lenoci, Valerio Daniele sono i compositori) sulle quali Massaro improvvisa, una sorta di incontro nastro-strumento come ai tempi del Maderna delle dimensioni al flauto. Ma con un spirito diverso, contemporaneo. Entrambe le parti tentano il gioco delle simulazioni, sono svolgimento dei temi, con Massaro che si adopera a seconda del tenore della composizione, nel maneggiare canalizzazioni d'aria, multifonici, armonici e assoli patologici. Qui, rispetto al Bestiario, si va un altro gradino più su, e non solo per la specificità e la rarità della proposta nell'ambito improvvisativo, ma anche perchè prende corpo l'eccellente capacità di adattamento del sassofonista pugliese alla predisposizione compositiva: nella comprensione di un tema prescelto (quello del disorientamento, così come descritto da Marco Colonna nelle note interne), Francesco è in grado di fare incetta di scelte rapide, di trovare efficaci soluzioni nell'improvvisazione che comunque deve avere il suo ruolo.
Maniera nera si riferisce ad una pratica d'incisione del seicento che permetteva di ricavare particolari illuminati creando un contrasto al nero: il colosso di Goya è un esempio; ma viene naturale verificare se esiste un parallelo tra la musica di Massaro e quelle sfumature della luce che l'incisore poteva far emergere solo dopo aver usato raschietto e brunitoio. La risposta è affermativa se pensiamo ad una musica visionaria che cerca nuove àncore: la dimostrazione sta tutta nei suoni e nel modo con cui ci si arriva, un principio che è ben noto nella musica contemporanea o delle estensioni. Io vi consiglio l'ascolto con cuffia, perché si possono cogliere momenti sonori importanti come succede nell'ipnotismo di Erocene (per Leo Lionni), nelle strozzature di Come canne al vento o nell'energia ayleriana che aleggia in La strana casa del giardiniere. Ettore Garzia (Percorsi Musicali)